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Dal body shaming mascherato da claim all’ossessione per la perfezione: è ora di parlare di comunicazione etica nel beauty. C’è un’ombra elegante, patinata, ingannevolmente suadente che si aggira ancora nei claim di tanti brand cosmetici. Un’eco dei tempi in cui la pubblicità ti sussurrava che eri sbagliata — ma per fortuna (che fortuna!) loro avevano il rimedio.

Nel 2025, quella voce non urla più. Ma continua a bisbigliare.

Solo che oggi, chi ascolta, non ci sta più.

 

Il problema non è (solo) il tono. È il messaggio.

Quando un brand parla di “inestetismi”, “imperfezioni da correggere”, “difetti visibili” o “effetto fotoritocco”, non sta semplicemente scegliendo parole sbagliate.

Sta scegliendo una visione del mondo.

Una visione che, in sostanza, dice:

“Così come sei non vai bene. Ma noi possiamo sistemarti.”

E no, non è solo una questione di copywriting. È una dichiarazione di potere. Una precisa tattica manipolatoria. E oggi, non possiamo più far finta che sia neutra.

 

La retorica della vergogna

Per decenni il marketing beauty ha usato la vergogna come leva.

Se ti senti a disagio con la tua pelle, compri.
Se ti vergogni del tuo corpo, compri.
Se vuoi sembrare qualcun altro, compri.

È stato un modello efficace, certo.
Ma tossico.

Oggi le persone non vogliono più comprare per vergogna.
Vogliono scegliere per affinità, consapevolezza, libertà.

E i brand che non capiscono questo cambio di paradigma non stanno solo rischiando di essere percepiti come “fuori moda”.
Stanno perdendo fiducia. Credibilità. Connessione.

 

L’epoca della bellezza standardizzata è finita? Forse (per fortuna!)

Inclusività. Body neutrality. Cura come gesto quotidiano e rituale personale, non come camuffamento.

Il cambiamento è già in atto — in parte grazie ai brand indipendenti, che hanno avuto il coraggio di alzare la voce (o cambiare il tono).
Ma per molti, è ancora una posa da campagna social.
Non una scelta reale, coerente e quotidiana.

Ed è lì che si gioca la differenza.

 

Cosa vuol dire comunicare in modo etico nel beauty?

Non vuol dire diventare noiosi.
Non vuol dire smettere di vendere.
E non vuol dire appiattirsi sul politically correct.

Comunicare in modo etico vuol dire:

  • Usare parole che rispettano chi ti legge
  • Proporre risultati reali, non fantasie photoshoppate
  • Raccontare la pelle, il corpo e la bellezza come esperienze, non come problemi

Vuol dire passare da:

  • “Elimina le rughe” → a “Sostieni la tua pelle nel cambiamento”
  • “Cancella le imperfezioni” → a “Esalta ciò che ti rende unica”
  • “Pelle perfetta” → a “Pelle curata, a modo tuo”

Un brand che parla così, non vende un ideale inottenibile: costruisce una relazione.

 

Gli errori che (nel 2025) non ci possiamo più permettere

  1. Usare il prima/dopo come se fossimo ancora negli spot anni ’90
  2. Parlare di “inestetismi” senza riflettere sul peso delle parole
  3. Promettere risultati miracolosi con asterischi microscopici
  4. Mostrare la pelle “naturale” con filtri e ritocchi
  5. Scopiazzare il linguaggio delle multinazionali, pensando sia l’unico modo di vendere

 

E sì, anche un piccolo brand può fare la differenza

Non servono budget stellari. Serve consapevolezza.
Serve avere il coraggio di farsi una domanda scomoda:

“Quello che sto dicendo, sta nutrendo o sta ferendo?”

E poi scegliere di comunicare in modo più pulito, più vero, più umano.

Con le parole. Con le immagini. Con la strategia.

 

Se sei un brand che parla di bellezza, stai anche parlando di identità personale.
Stai parlando di corpi di esseri umani. Di emozioni. Di immaginari.

Stai partecipando — che tu lo voglia o no — al modo in cui le persone si vedono allo specchio.

E questo è un potere troppo grande per usarlo male.
O per usarlo senza pensarci.

 

Ti è mai capitato di leggere un claim beauty e sentirti… a disagio?

Raccontamelo. Oppure condividi questo articolo con un brand che vuole fare la differenza.
Uno che abbia il coraggio di cambiare tono. E visione.